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18 ottobre 2021

Le sabbie d'Oriente, il vino d'Arabia

Il caffè nasce in Africa Orientale, ove viene scoperto probabilmente già nel VI secolo d.C. . Lì, sugli altipiani etiopi, dove le temperature, costantemente fra i 20 e i 30 gradi tutto l’anno, creano dei piccoli paradisi terrestri, un pastore di capre di nome Kaldi si accorge, per caso, degli effetti di certe bacche rosse. Osservando l’euforia causata al suo gregge da quei frutti, Kaldi ne assaggia e si accorge delle loro proprietà eccitanti.

Non passa molto tempo prima che il caffè divenga una bevanda diffusa in tutto il Corno d’Africa. Bevanda, perché molto presto gli etiopi scoprono i metodi per estrarre da quel frutto un liquido commestibile. I primi caffè sono preparati bollendo sia le foglie che i frutti della pianta. Un’altra ricetta prevede la fermentazione della polpa, un’altra ancora la macinatura dei chicchi. Quest’ultimi, però, vengono inizialmente utilizzati come alimento, mescolandoli con grasso animale. Bisogna aspettare il Cinquecento prima che un ignoto sperimentatore tosti i chicchi, li macini e li utilizzi per preparare un infuso.

Il tradizionale metodo etiope di preparazione del caffè, tuttora in uso in certe regioni, prevede l’essiccazione dei chicchi di caffè e la loro tostatura su un disco di metallo posto su braci aromatizzate d’incenso. Quando i chicchi sono dorati, la donna – sono infatti le mogli a tramandare questa tradizione nelle famiglie del Corno d’Africa – li pesta in un mortaio e, finalmente, mette la polvere in infusione in una ciotola d’acqua bollente. Ogni macinatura viene utilizzata per tre infusioni successive. Questo rituale, ben diverso dal modo moderno e occidentale di consumare il caffè, dura diverse ore, nel corso delle quali gli uomini si intrattengono nella conversazione mentre le donne preparano con cura la stimolante bevanda.

 

 

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L’Impero Ottomano, a partire dal Cinquecento, diffonde in tutto il bacino del Mediterraneo e nel Vicino e Medio Oriente l’uso del caffè, che viene scoperto dal mondo islamico grazie alla conquista araba dello Yemen, dove a sua volta era stato portato dagli etiopi.
Sebbene la produzione di caffè yemenita sia oggi ridottissima, un tempo le sue piantagioni hanno costituito una risorsa commerciale importantissima per i Sultani d’Istanbul. Prima di poterlo sfruttare commercialmente, però, il caffè deve superare una prova durissima: la conformità alla religione islamica.
A differenza del vino, non c’è nel Corano una proibizione esplicita di far uso del caffè. Tuttavia, le proprietà eccitanti della bevanda nera diventano presto oggetto di controversia: lo stimolo a restare svegli fino a tarda ora viene visto come potenziale fonte di disordini sociali. La soluzione arriva dall’interno dello stesso mondo religioso: quando ci si avvede che il caffè consente di rimanere svegli nel corso delle preghiere notturne senza annebbiare l’intelletto, anzi, stimolandolo, l’iniziale diffidenza viene superata e diventa anzi parte dello stile di vita islamico. Tanto che il caffè si guadagna, in Europa, il soprannome di “Vino d’Arabia”.
Il monopolio ottomano sul caffè viene per la prima volta intaccato quando, nel Seicento, un pellegrino musulmano, Baba Budan, riesce a trafugare sette semi, nascondendoli in una fascia legata al ventre. Da quei pochi, preziosi semi, acclimatati nelle montagne dell’India meridionale, origina l’intera produzione di caffè del subcontinente indiano.

Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia...

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